ARGO 55
Da qualche mese – dopo un periodo di assenza determinata dal Covid – sono ritornate le Feste de l’Unità. Anche nella nostra città. Queste feste all’aperto, quando l’estate diffonde una luce diversa sulle cose.
E dalla memoria ho attinto delle immagini, dei ricordi. Soprattutto, quando appena ventenne, in compagnia di amici, agli inizi degli anni settanta (!!!), alla ricerca dei compagni del PCI, li trovammo alla “Fossata”, in una Festa de l’Unità. Tutti felici della conoscenza ma da parte nostra fu subito lanciato un messaggio – pur nel rispetto della “tradizione” – <<la prossima festa la facciamo in una zona centrale di Terracina bassa!>>.
Meglio di mille e mille orologi sincronizzati, dalle più grandi città fino al piccolo paese, prese avvio una grande stagione di Feste ch’erano insieme proposta politica, culturale e di svago.
E, qui, a Terracina, dopo una breve “incursione” nel centro storico alto, l’area Chezzi, dietro Piazza Mazzini (ripulita e sistemata da decine di volontari) divenne il luogo di importanti Feste de l’Unità, per un decennio ( ricordo un “promettente” Rino Gaetano).
Le Feste, già dalla prima di Milano, subito dopo la Liberazione, accompagnarono l’evoluzione del più grande partito comunista dell’Occidente, con la guida di Enrico Berlinguer (il compromesso storico, dopo il colpo di stato in Cile, la “democrazia valore universale”…) e, poi, la storia recente del partito democratico (il discorso del “Lingotto” di Walter Veltroni).
Un nuovo modello
Oggi, in questo secolo già maggiorenne, agli albori di una nuova storia del riformismo di questo Paese – ripensata dalla nascita del Partito Democratico nel 2007 – torna attuale, in modo quasi ineluttabile, il discorso di un nuovo modo di essere anche delle feste de l’Unità.
E vale nel Paese come nella nostra città, vale anche per il circolo di Terracina del P.D., il quale mi sembra non solo interrogarsi ma che provi sul campo una fase di transizione, nella quale parafrasando un giovane Eugenio Montale: <<Codesto solo oggi possiamo dirti,/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo>>.
La Festa del 2022 è, quindi, una “festa mobile” che prima di tutto ha seguito un filo rosso dato dai luoghi e dai temi. Personalmente, sento il dovere di dare una mano, di partecipare ad una discussione e ad una elaborazione comune intorno a qualcosa che ha il sapore del progetto “politico-culturale”. A partire da una considerazione, valida non solo per le feste de l’Unità: mai cedere alla rassegnazione.
La sinistra non può permettersela, nemmeno quando la realtà pare un monolite inattaccabile, privo di punti di presa di una azione di “trasformazione”.
Ancor di più nella contingenza attuale, dove tutto pare già scritto e dettato dai sondaggi gridati ovunque, dove tutti gridano la propria verità.