Scrivo questa nota di Argo mentre continua l’aggressione all’Ucraina.
Mentre la guerra colpisce il cuore dell’Europa e non cessano le voci di coloro che vorrebbero una strana pace in cui dovrebbe essere il paese aggredito a dover pagare il prezzo più alto; mentre, quelli di destra, nel dibattito parlamentare sulla fiducia al Governo, chiedono ipocritamente una “pace fiscale” di una guerra mai dichiarata, quella sacrosanta agli evasori, e parlano di “merito”; altri, il popolo iraniano (oltre il 70% ha meno di 35 anni), con le donne in prima fila, pur subendo centinaia di morti e una feroce repressione, non cessano di lottare per una società con più diritti, civili e sociali.
Penso che il “futuro” nostro, individuale e collettivo, debbafarsi “idea”, progetto se non vogliamo solo scandirlo nella cronologia apparente del tempo.
Saint-Exupéry pensava: << …l’importante non è prevedere il futuro, ma renderlo possibile>>.
Come possiamo, in politica, respingere tale idea, quando, al contrario, è suo elemento essenziale? Viviamo in una dimensione del presente che sminuzza ogni prospettiva, incapacI di collocarla sul futuro come sul passato.
Pare banale pensare che per guardare avanti dovremmo prender lezioni da ciò ch’è successo e dalle scelte che abbiamo fatto. È così, però.
Le virtù, più o meno profetiche, non servono. Ma seguire il sottosuolo di ciò che nel “mondo” della politica – e non solo – accade, invece di osservare la sua superficie, qualcosa si potrebbe intuire, a condizione di liberarsi delle abitudini mentali con le quali filtriamo e, qualche volta, respingiamo, gli avvenimenti e le opinioni che ci destabilizzano e mettono in gioco identità e appartenenza.
Quanti consigli non richiesti, a noi del PD, dopo il 25settembre, dopo una nuova sconfitta elettorale.
Possiamo star calmi, senza buttare con l’acqua sporca anche il bambino? Non siamo all’anno zero o <<non ricominciamo da tre>>, siamo messi meglio del personaggio del mai troppo compianto Massimo Troisi.
Allora, dedichiamo un po’ di tempo a conoscere, a riflettere su di un mondo che appare spesso troppo distante e refrattario alle politiche che proponiamo o, magari, cerchiamo di non fare del nostro concreto modo di essere l’elemento principale di delegittimazione della politica.
Ascoltiamo il malessere profondo del nostro Paese (ed il saper che nella difficoltà siamo in buona compagnia, con la maggior parte delle democrazie e dei paesi sviluppati, non deve confortarci o assolverci), proviamo ad entrare in sintonia con il “bisogno” nel quale si trovano sprofondati ampi settori sociali, anche nella nostra città.
E noi tutti, che desideriamo la possibilità di un deciso cambiamento, proviamo a partire da qui, dal cuore e dall’anima dei cittadini, in particolare quella metà che ha deciso di non votare più, inconsapevoli comprimari di una pessima commedia, ancor peggio interpretata.
E diciamolo, senza fini tattici, che forse il “Civismo” potrebbe, insieme al rinnovamento della funzione dei partiti, costituire il punto di convergenza per una politica locale di cambiamento.
Di Armando CITTARELLI